giovedì 21 gennaio 2016

Diventare eremita diocesana

Pubblico l'intervista a una ragazza che mi ha confidato che desidera diventare eremita diocesana.


D.: I mondani pensano che la vita eremitica non serva a nulla, e sia scelta da persone asociali che non sanno vivere in società. Puoi spiegarci qual è lo scopo della vita eremitica?

R.: La vocazione eremitica fa parte di quelle chiamate ad una vita contemplativa che non possono essere qualificate attraverso la categoria dell’utilità. Per questo motivo non solo le persone non credenti, ma spesso anche tante di quelle credenti, fanno fatica a comprenderne il senso, poiché essa non esprime un ministero materiale all’interno della comunità sia ecclesiastica sia sociale. Tuttavia l’eremita non è una persona asociale che desidera fuggire dalla società e dalla vita insieme con gli altri uomini, ma è una persona che riceve da parte del Signore una chiamata particolare a vivere nel silenzio e nella solitudine una più profonda comunione con Lui, rendendosi più vicino ai fratelli attraverso la sua vita di preghiera e totale consacrazione al Signore. Ogni vocazione è un dono, ed è un dono per la persona che la riceve e per tutta l’umanità. Lo scopo della vita eremitica è dunque duplice: dedicarsi esclusivamente alla ricerca del Volto di Dio attraverso una vita semplice di silenzio e solitudine, lavoro e preghiera; intercedere attraverso la consacrazione della propria vita, in unione al sacrificio di Cristo, per l’umanità intera.


D.: Come viene vissuta la giornata-tipo dell’eremita?

R.: La giornata-tipo dell’eremita è trascorsa per la quasi totalità del tempo nel silenzio e nella solitudine all’interno dell’eremo. Qui l’eremita prega e lavora, e accoglie quanti si rivolgono a lui per vivere un momento di preghiera nella solitudine o per ricevere una parola di consiglio. Non esistono degli orari rigidi attraverso i quali si possa delineare la giornata-tipo perché la vocazione eremitica è strettamente personale e ogni eremita discerne insieme al suo direttore spirituale e al vescovo che l’accoglie come strutturare la sua vita, spesso con una regola ma senza una eccessiva rigidità. Possiamo comunque dire qualcosa di più approfondito circa la preghiera, il lavoro e l’accoglienza. Generalmente alla preghiera è dedicato il più ampio spazio nella giornata eremitica. La maggior pare degli eremiti prega la Liturgia delle Ore e dedica ampio spazio alla preghiera silenziosa come la lectio divina, l’orazione e l’adorazione. Il lavoro dell’eremita deve essere compatibile con la sua vocazione, quindi un lavoro che consenta di non allontanarsi dall’eremo e che possa essere svolto nella solitudine e nel silenzio. Vengono privilegiati i lavori manuali quali pittura o scrittura di icone, ricamo, lavoro della terra, qualche lavoretto redazionale fatto al computer e poi consegnato tramite posta elettronica. L’accoglienza è forse il punto in cui si trovano le maggiori differenze: ci sono eremiti che accolgono ogni giorno per qualche ora; altri che scelgono di incontrare più raramente i visitatori; altri che, vivendo in strutture molto grandi, mettono degli spazi a disposizione di chi voglia trascorrere dei periodi di ritiro, naturalmente senza interferire con la vita dell’eremo.


D.: Come si diventa eremita diocesano?

R.: La vita dell’eremita diocesano è regolata dal Codice di Diritto Canonico al §2 del can. 603 (LEV), che qui riportiamo per intero:

Can. 603 - §1. Oltre agli istituti di vita consacrata, la Chiesa riconosce la vita eremitica o anacoretica con la quale i fedeli, in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella assidua preghiera e penitenza, dedicano la propria vita alla lode di Dio e alla salvezza del mondo.

§2. L’eremita è riconosciuto dal diritto come dedicato a Dio nella vita consacrata se professa pubblicamente i tre consigli evangelici, confermandoli con voto o con altro vincolo sacro, nelle mani del vescovo diocesano e sotto la sua guida osserva il programma di vita che gli è propria.

L’eremita diocesano ha dunque come suo legittimo superiore il vescovo della diocesi in cui viene accolto. Per questo, dopo un cammino di discernimento spirituale con una guida e dopo una prima esperienza di almeno qualche settimana di vita eremitica, l’aspirante eremita si rivolge al vescovo della diocesi in cui vorrebbe vivere presentando con semplicità e chiarezza il suo progetto di vita. Sarà il vescovo poi a decidere se accogliere o meno questa forma di vita nella sua diocesi. Nel caso in cui non venga accolto, l’eremita può rivolgersi a qualsiasi altra diocesi. Nel caso invece in cui venga accolto, insieme al vescovo decide in quale luogo andare a vivere e concorda le tappe e i tempi del percorso di consacrazione e prima di pronunciare i voti, nella preghiera e con l’esperienza di vita, scrive la regola che dovrà essere approvata dal vescovo.


D.: Come fanno gli eremiti a sostenersi economicamente?

R.: Non facendo parte di una comunità religiosa, l’eremita deve provvedere da solo al suo sostentamento. La vita eremitica è una vita semplice e sobria, sono tanti gli eremiti che affermano di vivere con circa 200 euro al mese. Alcuni fanno dei lavori manuali che vendono, altri lavorano la terra e si nutrono del lavoro delle proprie mani, altri ancora (la maggior parte) si affidano totalmente o quasi alla Provvidenza, che non fa loro mancare il necessario.


D.: La vocazione eremitica è ancora di attualità, oppure sta scomparendo?

R.: La vocazione eremitica è una delle vocazioni più antiche che la Chiesa conosca. In alcuni periodi è stata più in auge, in altri è quasi scomparsa. Attualmente ci troviamo in un momento di fioritura e nuova diffusione di questa forma di vita che già dagli anni ’50-’60 del secolo scorso ha visto una forte ripresa e con il riconoscimento nel Codice di Diritto Canonico del 1983 ha ricevuto un'agevolazione e una maggiore tutela per la concreta attuazione.


D.: Che cos’è che affascina tanto della vita eremitica?

R.: Senza dubbio della vocazione eremitica ciò che colpisce è la radicalità, la testimonianza di una vita esclusivamente dedicata a Dio. Questo è un primo aspetto che spaventa ma che allo stesso tempo attira in una società che cammina in senso contrario a questo tipo di scelta, in una società in cui sembra sempre più che l’identità della persona sia definita da ciò che si possiede piuttosto che da ciò che si è nel profondo del proprio cuore, da cui spesso si cerca di scappare. La vita eremitica fa proprio l’opposto: la sua semplicità e il suo silenzio spogliano pian piano il cuore e lo rendono libero e accogliente per essere incontrato da Dio, per essere colmato dal Suo amore, per scoprire in questo amore l’unica sorgente e l’unico cibo della propria vita. Un altro aspetto che attira della vita eremitica è la sua povertà, non tanto quella materiale, quanto quella interiore: lasciare tutto e affidarsi totalmente al Padre, come Gesù nel deserto, confidare solo in Lui e rimettere nelle Sue mani la propria vita. Un ultimo aspetto che affascina della vita eremitica è la pace e la serenità d’animo che colmano profondamente il cuore dell’eremita e attirano tante persone a pregare con lui o a chiedere una sua parola di conforto, di consiglio, nella ricerca di quella stessa pace e gioia per cui tutti siamo stati creati e alla quale tutti aneliamo, verso la quale molti sperano di trovare la strada con l’aiuto di chi sembra averla già raggiunta o, quantomeno, vi è da lungo tempo incamminato.

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